Il caso Tyhssenkrupp fin dall’inizio ha suscitato forte interesse nel mondo giuridico per le molteplici questioni di diritto affrontate in sede giurisprudenziale. La nota vicenda del rogo nella notte del 2007 nello stabilimento torinese aveva concentrato l’attenzione mediatica sulla figura di Harald Espenhahn, ex amministratore delegato dell’azienda, oltre che su quella di altri dirigenti del gruppo: tra di essi il responsabile della sicurezza e alcuni membri del comitato esecutivo dell’azienda, accusati inizialmente del reato di omicidio volontario per la morte di sette operai, oltre che di incendio doloso.
I principali interrogativi giuridici sollevati ruotavano attorno al ruolo ricoperto dall’amministratore delegato della società e della sua relativa delega in materia di sicurezza sul lavoro, ma soprattutto sulle condanne, rilevando per alcuni imputati l’elemento soggettivo del dolo e per altri solo quello della colpa.
Fin dalla prima pronuncia del 2014, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito il diverso tipo di responsabilità in merito alla condotta dei soggetti interessati, distinguendo tra dolo eventuale e colpa cosciente: tale distinzione si fonderebbe sulla diversa gravità dell’atteggiamento psicologico dell’autore del reato.
Per dolo eventuale si intende quella predisposizione psicologica per cui un soggetto, con coscienza e volontà di agire violando norme di diritto, accetta il rischio di realizzare, con il suo comportamento, un evento ulteriore e più grave di ciò che, illegittimamente, voleva realizzare. Nel caso di specie l’azienda che consapevolmente violava le norme sulla sicurezza dei lavoratori, accettava il rischio anche di un incidente simile a quello realmente accaduto.
Per colpa cosciente si intende, d’altro canto, quella predisposizione psicologica per cui un soggetto, nella violazione di norme di legge, considera improbabile che un ulteriore e diverso evento possa realizzarsi, anche in considerazione delle sue personali capacità ed esperienze. Nel caso di specie l’azienda che consapevolmente violava le norme sulla sicurezza dei lavoratori, considerava l’evento concretamente avvenuto improbabile o, quantomeno, non ordinario.
La labile differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente aveva portato alla considerazione che le condotte di tutti gli imputati fossero ascrivibili alla fattispecie della colpa cosciente.
Pertanto, secondo la Corte, il rimprovero giuridico mosso ad una condotta colposa è di “inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia”. Al contrario, solamente se il soggetto agente abbia previsto la concreta possibilità del verificarsi del reato e, nonostante ciò, abbia comunque agito accettandone il rischio, si può parlare di dolo eventuale.
A seguito del secondo ricorso in cassazione, il vorticoso caso è stato risolto con la sentenza n. 52511 del 2016 con la condanna per omicidio colposo, omissione di cautele antinfortunistiche e incendio colposo aggravato con pene ridefinite tra i sette e nove anni, nonostante inizialmente la presunta condotta fosse ritenuta volontaria: la scelta aziendale definita “sciagurata” sull’inadeguatezza (o inesistenza) delle misure preventive in ordine alle norme antinfortunistiche aveva, infatti, portato alla condanna a pene tra i dieci e i sedici anni per omicidio volontario.
La vicenda Thyssenkrupp rappresenta un importante momento di svolta per ciò che concerne la materia della sicurezza sul luogo di lavoro, sebbene questo sia stato possibile solo dopo una prevedibile tragedia: per raggiungere un traguardo importantissimo per la salvaguardia dei diritti e la dignità dei lavoratori, la giurisprudenza è intervenuta doverosamente inasprendo le sanzioni, al fine di garantire ulteriori controlli e più efficaci tutele.
Dott.ssa Cecilia Fiorentini