Il diritto dei consumatori è un diritto di origine comunitaria, regolato nel nostro ordinamento dal Codice del Consumo (Dlgs. n. 206 del 2005), nonché la branca del diritto privato che tutela maggiormente il soggetto debole del contratto: il consumatore. Egli, sottoscrivendo un contratto con l’intento di acquistare per scopi personali, può incorrere in determinate situazioni che possono comportare l’incauta accettazione di clausole che possono causare una limitazione della sua capacità di gestire i propri interessi giuridici.
Preliminarmente, occorre specificare che i contratti che interessano l’ambito del diritti dei consumatori sono solo quelli conclusi tra due parti ben precise: da un lato il professionista, ossia un soggetto che abbia come attività la vendita di beni e servizi all’interno di un mercato (l’imprenditore); dall’altro lato il soggetto consumatore o utente, il quale acquista un bene o utilizza un servizio per soddisfare un proprio scopo o bisogno di carattere puramente personale. Mentre per il Codice Civile il contratto è un accordo tra soggetti che sono pari tra loro, nella disciplina comunitaria (così come in quella speciale del Codice del Consumo), l’attenzione ricade sulla disuguaglianza che interessa il professionista e il consumatore, data l’evidente differenza di potere contrattuale che intercorre.
L’articolo 2 del Codice del Consumo definisce i diritti del consumatore, fra cui il diritto alla sicurezza, ad un’adeguata informazione, alla pubblicità. Accanto a questi diritti di ordine generale, si affiancano particolari garanzie per il consumatore, come la correttezza, la trasparenza e l’equità nei rapporti contrattuali. Quest’ultima è da intendersi come giustizia da un punto di vista normativo, proprio perché dal contratto possono sorgere per il consumatore rischi non preventivati, attraverso la sottoscrizione di clausole che lo penalizzano dal punto di vista contrattuale.
E’ opportuno, quindi, considerare quanto disposto dall’articolo 33 del Codice del consumo, che si occupa delle clausole abusive nei contratti del consumatore. Il consumatore, nell’apporre la firma al contratto, aderisce ad un contratto standardizzato senza decidere se accettare o meno determinate clausole. Per questo il Codice del Consumo puntualizza le clausole che l’imprenditore può legittimamente inserire nel contratto, in modo da conservare un equilibrio tra le parti sanzionando le clausole abusive, anche dette vessatorie (ossia quelle clausole che penalizzano in modo scorretto il consumatore).
Ad ulteriore chiarimento, le clausole vessatorie sono quelle contrarie alla buona fede e che quindi vanno a ledere il principio di correttezza contrattuale, determinando uno squilibrio di notevole rilevanza nella sfera giuridica del consumatore, in merito ai diritti e doveri derivanti dal contratto. Tale disparità contrattuale può essere eliminata attraverso uno dei rimedi classici del nostro ordinamento: è prevista infatti la sanzione della nullità per le clausole abusive di un contratto, che potrà essere parziale quando colpisce la specifica clausola vessatoria e non tutto il contratto, mentre potrà essere relativa quando in sede giudiziale è fatta valere a suo vantaggio dal consumatore (o d’ufficio dal giudice). L’unico rimedio offerto al professionista, così come costantemente affermato dalla giurisprudenza, è quello relativo alla dimostrazione che il consumatore abbia liberamente accettato l’esistenza della clausola; in caso contrario, potrebbe richiedere che venga accertata la nullità delle clausole.
La giurisprudenza ha inoltre affermato che non è sufficiente ai fini probatori che si dimostri la semplice esistenza di una trattativa, ma che occorrerà una specifica dichiarazione in tal senso sottoscritta dal consumatore. E’ bene ricordare che l’azione di nullità è imprescrittibile ed è sempre opponibile ai terzi. Vi sono tuttavia delle categorie di clausole che la legge considera nulle in ogni caso, senza che il professionista possa obiettare il contrario.
Le clausole vessatorie individuate dal Codice del Consumo sono di due tipi: quelle che si reputano vessatorie (e quindi nulle) fino alla prova contraria offerta in sede giudiziale dal professionista (anche dette clausole “grigie”o “di protezione”) e quelle che si reputano sempre e comunque nulle (anche dette clausole “nere”).
Il giudice, nel valutare la clausola vessatoria rilevata in sede giudiziale, dovrà sempre confrontarsi con il consumatore, il quale potrebbe ricevere dei vantaggi dalla sottoscrizione della suddetta clausola. Infatti, è prevista un’ulteriore forma di rimedio per il consumatore, ovvero la convalida della clausola nulla, così come disciplinato dall’art. 1423 del codice civile.
Da ultimo, la Corte di Giustizia Europea nel 2015 ha sancito il principio secondo il quale il consumatore deve essere posto nella condizione di poter valutare, sul fondamento di criteri precisi ed intelligibili, le conseguenze economiche che derivano dal contratto di assicurazione, ritenendo al contrario la specifica clausola come abusiva. E’ lo stesso Codice del Consumo che agli articoli 35 e 36 prevede il dovere per il professionista di formulare in modo chiaro e comprensibile le clausole del contratto. In questo senso, la chiarezza e la comprensibilità delle clausole del contratto vanno a formare un elemento essenziale dello stesso, proprio per consentire al consumatore di conoscere fin da subito quali siano i suoi diritti e doveri, i suoi vantaggi e svantaggi nascenti dal contratto.
La sottoscrizione del contratto è sanzionata, appunto, con il rimedio della nullità quando il professionista non permetta al consumatore di conoscere le informazioni e il contenuto del contratto in modo trasparente
La consapevolezza della sottoscrizione di clausole che limitano i diritti del consumatore, sfavorendolo da un punto di vista economico, può essere così considerata inesistente, senza temere alcun tipo di ripercussioni.
Dott.ssa Cecilia Fiorentini