Il Consiglio di Stato ha sancito una netta censura dell’attuale metodo di finanziamento degli istituti scolastici paritari in Italia. Infatti, il nostro sistema scolastico non si poggia unicamente sulla scuola pubblica, ma fa affidamento anche ad un’intera galassia di istituti privati che erogano l’attività di formazione scolastica in via parallela. Non tutti gli istituti che svolgono tale attività sono uguali: fra di essi è possibile infatti distinguere quelli di matrice confessionale (retti cioè da enti o associazioni religiose) e quelli laici (caratterizzati da una forma più tipicamente imprenditoriale).
L’esistenza dei primi è resa possibile dalle disposizioni contenute nei Patti Lateranensi (accordi internazionali fra lo Stato italiano e la Santa Sede che ne regolamentano i rapporti con la concessione di diverse guarentigie), in aggiunta alle diverse disposizioni legislative interne che regolamentano il funzionamento del sistema scolastico e quello fiscale. Tuttavia, nonostante tali differenze, entrambi sottostanno alle medesime disposizioni legislative e, soprattutto, dipendono in larga parte dai finanziamenti pubblici erogati dallo Stato a sostegno di tale attività.
La spartizione di tali sovvenzioni è stata fino ad ora oggetto di accesi dibattiti politici e giuridici, a causa di meccanismi distributivi da molti ritenuti poco equi. Infatti, fino ad ora tali regole (contenute nella legge finanziaria 2007; art. 1, comma 636, l. n. 296/2006) si basavano su una gestione centralizzata da parte del Ministero di queste sovvenzioni che, mediante un decreto annuale, identificava i criteri e gli istituti destinatari di tali supporti economici. La legge, invece, si limitava a dettare dei principi generali con cui poter guidare la successiva attività amministrativa.
Fra di essi quello più importante nella distribuzione di tali risorse economiche era quello della preferenzialità per gli istituti che svolgessero attività senza scopo di lucro. Ma, in base a ciò, ne discendeva una quasi assoluta supremazia degli istituti confessionali rispetto a quelli laici. Ciò poiché, grazie a un’interpretazione consolidata anche da parte della giurisprudenza, si propendeva a classificare come meritevoli delle sovvenzioni tutti quegli istituti gestiti da enti con particolari qualifiche soggettive, come quelli pubblici ecclesiastici, associazioni no-profit, istituti culturali. Secondo tale interpretazione, la mera possibilità che l’attività scolastica venisse erogata da uno essi veniva ritenuta condizione sufficiente a rendere l’istituto meritevole del finanziamento. Tuttavia un’interpretazione di questo tipo veniva considerata eccessivamente favorevole per gli enti di matrice confessionale, a discapito di quelli laici. Così sul tema è stato chiamato ad esprimersi il Consiglio di Stato che, con un’apposita sentenza (Cons. Stato, Sez. IV, n. 292/2016), ha rivoluzionato le regole del gioco.
Infatti, dopo aver decretato l’eccessivo favore nei confronti degli enti confessionali, sono state passate in rassegna soluzioni interpretative alternative, con cui cercare di limare tali disparità di trattamento. In particolare, è stato dato maggior peso ad un’interpretazione oggettiva della presenza o meno dello scopo di lucro. Se infatti, la prestazione di tale attività avviene previa corresponsione di un adeguato trattamento economico (come ad esempio il pagamento di una retta), ciò rende automatica la manifestazione e l’individuazione dello scopo di lucro indipendentemente dalla qualifica dell’ente. Di conseguenza la sussistenza viene limitata al solo caso in cui il servizio sia erogato a titolo gratuito o con un corrispettivo non in grado di coprire totalmente i costi economici sostenuti.
Tuttavia, le ragioni che hanno spinto il Consiglio di Stato a rivoluzionare questa materia devono essere ricercate anche nel diritto comunitario. Infatti, citando una sentenza che ha letteralmente gettato i capisaldi per la disciplina degli aiuti di Stato (sent. Altmark, 2003), non può essere tollerato alcun principio discriminatorio fra le imprese che operano nelle medesime condizioni in un determinato settore. Di conseguenza, la previsione di una preferenzialità a favore delle scuole paritarie prive di scopo di lucro (che coincidono in larga misura con quelle rette da enti confessionali) rappresenta una palese violazione di tale principio. Così come anche l’entità di questi aiuti economici non è in linea con quanto dettato dal diritto comunitario, che vincola l’entità delle sovvenzioni statali alle somme strettamente necessarie a coprire i costi per lo svolgimento di attività svantaggiose dal punto di vista economico ma fondamentali per gli interessi pubblici.
In conclusione, la cancellazione del criterio di preferenzialità e la smentita del criterio soggettivo e discrezionale da parte del Ministero per l’assegnazione dei fondi rendono tale pronuncia fortemente innovativa e destinata a mutare radicalmente il panorama del mondo scolastico italiano, rendendo il trattamento fra le scuole paritarie più equo.
Dott. Mattia Palatta