“È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.
Queste le parole della Corte Costituzionale che, con la sentenza n.275/2016, ha dichiarato l’illegittimità della legge regionale dell’Abruzzo nella parte in cui prevedeva che “solo nei limiti delle disponibilità finanziarie” si potesse soddisfare il diritto allo studio degli studenti disabili.
La Regione Abruzzo, mediante la legge di bilancio del 2014, aveva finanziato solo al 50% le spese per i servizi degli studenti diversamente abili, compromettendo l’erogazione dell’assistenza specialistica e dei servizi di trasporto.
Una scelta giustificata dall’amministrazione appellandosi al principio di “equilibrio della finanza pubblica” previsto dall’ art. 81 della Costituzione, dinanzi al quale –secondo le istituzioni regionali- avrebbe dovuto trovare un limite l’effettività del diritto allo studio del disabile.
Tale scelta è stata tuttavia ritenuta illegittima dalla Corte che ha chiarito la portata dei limiti e dei vincoli costituzionali, ristabilendo una essenziale scala di priorità tra i principi costituzionalmente garantiti.
E’ stato, infatti, evidenziato come il diritto all’istruzione del diversamente abile, previsto dall’ art 38 della Cost. e dall’ art 24 della Carta delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili, sia un diritto incomprimibile che “impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile” posto affinché esso non venga mai calpestato in ragione di interessi confliggenti.
Non sono, dunque, i diritti fondamentali a dover essere condizionati dal rispetto di esigenze di bilancio ma sono le previsioni di spesa che devono necessariamente tener in conto il soddisfacimento dei diritti essenziali.
Una pronuncia storica che esprime un concetto importantissimo:
prima la tutela ed il soddisfacimento dei diritti incomprimibili; poi il rispetto dei vincoli di bilancio.
Il giudizio di bilanciamento tra norme costituzionali deve, infatti, tenere in considerazione il diverso “peso” che hanno i principi costituzionalmente stabiliti.
L’ equilibrio di bilancio è entrato nella nostra Costituzione in tempi recenti, ma esiste una gerarchia tra i valori costituzionali che impone una disparità tra il rispetto dei diritti essenziali e la necessità di dover far “quadrare i conti”.
Il primo profilo necessariamente prevale e condiziona il secondo, non essendo ammissibile che le esigenze di pareggio di bilancio comportino una compressione dei diritti fondamentali.
I giudici costituzionali, tramite questa sentenza, sembrano dare corpo a ciò che il prof. Ferrajoli definisce la “sfera dell’indecidibile”, ossia quella sfera in cui rientrano tutti quei diritti essenziali che non possono essere soggetti né alla discrezionalità della politica né all’imperante logica del mercato. Insomma, vi sono dei diritti sociali che nessuna maggioranza può decidere di non attuare, poiché il loro mancato rispetto creerebbe un diritto non solo ingiusto, ma anche illegittimo.
Si tratta di un importante cambio di paradigma, in una fase storica in cui tutto sembra sacrificabile sull’altare degli interessi di mercato.
La “mancanza di risorse finanziarie” è la giustificazione attraverso cui, sul piano nazionale e regionale, si è assistito ad un graduale processo di smantellamento del Welfare State (basti pensare a settori fondamentali come sanità ed istruzione).
Questa sentenza mette mano all’ordine delle priorità, evidenziando come il nucleo essenziale dei diritti fondamentali debba svolgere la funzione di controlimite nei confronti delle esigenze di bilancio.
Sarà interessante vedere quali effetti concreti questa pronuncia comporterà.
E’ evidente come, grazie ad essa, le istanze volte a richiedere una reale attuazione dei più basilari diritti essenziali trovino oggi maggiore forza, con i primi effetti che si potrebbero manifestare proprio in materia di “diritto allo studio”, tutelato dall’art 34 delle Costituzione.
Diritto nei fatti disatteso nel nostro Paese, tanto da istituzionalizzare e legittimare una figura che rappresenta in maniera plastica il suo mancato soddisfacimento ossia quella dell’ “idoneo non vincitore”. Quest’ultima indica tutti quegli studenti universitari che, pur avendo i requisiti di merito e di reddito richiesti per potere accedere alle borse di studio, si vedono negato tale diritto per “mancanza di risorse”.
Tutto ciò nonostante le numerose sentenze della Corte Costituzionale ( sent. n. 125/ 1975; sent. n.215/1987) che hanno evidenziato come il diritto allo studio sia da considerarsi un “diritto pieno ed incondizionato” di cui sono titolari i “soggetti capaci e meritevoli”, cui deve corrispondere un “dovere pieno e incondizionato” in capo all’amministrazione di erogare le prestazioni necessarie per renderlo effettivo, senza potersi appellare ad una eventuale carenza delle risorse disponibili.
La sentenza della Consulta oggetto di tale articolo rimarca tale concetto ma assume, nello scenario attuale, un maggior valore: intervenendo dopo l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e in un quadro di completo sottofinanziamento del diritto allo studio, essa potrebbe aprire interessanti spiragli per vedere tutelato in via giurisdizionale un diritto non garantito dalle istituzioni.
Ciò potrebbe riguardare non solo il diritto allo studio ma tutti quei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Carta Costituzionale ma disattesi nei fatti.
Spingendoci anche più in là, ciò potrebbe portare ad un capovolgimento della stessa concezione del “vincolo di bilancio”. Arrivando, magari, a costituzionalizzare ciò che la Consulta con questa sentenza ha stabilito ossia che “è la garanzia dei diritti incomprimibili a dover incidere sul bilancio”.
Sul modello della Costituzione Brasiliana (artt. 198 e 212) sarebbe, dunque, auspicabile la previsione di quote minime del bilancio da riservare alla salute, all’istruzione, all’assistenza; introducendo delle reali garanzie a tutela dei diritti sociali. Nella consapevolezza che, come la migliore dottrina ci insegna, le garanzie altro non sono che “i divieti ed i doveri corrispondenti ai diritti”, necessarie per mettere a riparo questi ultimi dalle violazioni che potrebbero subire.
La sentenza n.275/2016 assume, dunque, una portata storica fondamentale.
Per coglierne appieno il significato bisogna, però, partire da lontano.
Una delle più grandi conquiste sul piano giuridico e politico del secolo scorso è stata, infatti, l’introduzione di una “Costituzione rigida” ossia di “una legge sulle leggi,” di un “diritto sul diritto”.
I diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti avrebbero dovuto rappresentare dei limiti e dei vincoli a tutti i poteri pubblici.
La stessa democrazia avrebbe dovuto assumere una valenza non solo formale ma sostanziale:
il potere politico doveva essere disciplinato non solo nelle forme di produzione delle decisioni ma anche nei contenuti delle decisioni medesime, vincolati al rispetto di quei principi di giustizia costituzionalmente stabiliti.
Peccato che il paradigma della democrazia costituzionale sia rimasto in gran parte sulla carta e, da tempo, sia in preda ad una profonda crisi sul piano italiano ed europeo.
Una crisi in gran parte creata, come evidenzia Ferrajoli, da un ribaltamento del rapporto tra politica ed economia:
“all’impotenza della politica dinanzi ai poteri selvaggi dei mercati è corrisposta la rivendicazione dell’ onnipotenza della politica a danno dei diritti dei cittadini che si è manifestata nell’aperta aggressione ai diritti sociali”. In entrambi i casi è avuta la “rimozione delle Costituzioni dall’orizzonte di governo onde consentire l’aggressione dei diritti fondamentali e delle loro garanzie”.
Si tratta, appunto, di una crisi della democrazia e dello stato di diritto che avvenendo a livello europeo richiede delle necessarie soluzioni sovranazionali, come un nuovo processo costituente europeo che imponga limiti e vincoli non solo ai poteri pubblici ma anche ai poteri economici e finanziari.
Sicuramente, sul piano interno, questa sentenza della Consulta è un primo passo che rimette la nostra Costituzione al suo posto; evidenziando la necessità di dare effettiva attuazione ai diritti fondamentali pone un freno all’ onnipotenza del potere politico e ristabilisce i confini del “legittimo” e dell’ “illegittimo”.
Sta a noi rimarcare questi confini e pretendere che i diritti incomprimibili non continuino a subire ingiuste violazioni perché come ben sottolineava Calamandrei “la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale” che, ogni giorno, bisogna impegnarsi a modificare.
Federica Borlizzi