L’evoluzione sociale e politica avvenuta nel corso degli ultimi decenni ha sollevato l’esigenza imprescindibile di innovazioni giuridiche che potessero reggere il passo con ciò che avveniva nel nostro territorio.
Grazie alle più recenti pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, il Parlamento ha posto maggiore attenzione alla crescente richiesta di tutela giuridica che le coppie di fatto e la popolazione omosessuale avanzavano. È stato così scritto un Disegno di Legge che si occupasse di dare una risposta alle problematiche sollevate dinanzi agli organi giudiziari. L’approvazione definitiva della Legge, mercoledì 11 maggio 2016, inerente la regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze di fatto è un importante passo in avanti in questo campo. L’obiettivo prefissato a monte del lavoro di tre anni che è dietro la stesura del testo oggetto d’esame, è stato quello di riuscire a “superare i pregiudizi”, “dare dignità a famiglie che di fatto già sono tali” e soprattutto fare in modo che venisse applicato il principio di non discriminazione così come sancito nella CEDU (Carta Europea dei Diritti dell’Uomo ex art. 14) e nella nostra Costituzione (articolo 3).
Le Unioni civili
La prima parte della legge si occupa di regolamentare le unioni civili, ossia “una specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione (rispettivamente i diritti inviolabili dell’uomo e il principio di uguaglianza) tra persone dello stesso sesso, che siano maggiorenni”. La costituzione di un’unione civile avviene mediante la dichiarazione delle parti davanti all’ufficiale di stato civile e due testimoni per essere poi trascritta in appositi Registi dell’anagrafe presso i Comuni.
Il regime patrimoniale ordinario è quello della comunione legale (art. 159 codice civile) ma come nel matrimonio resta fatta salva la possibilità di stabilirne uno differente mediante un’apposita convenzione.
Dall’unione civile scaturiscono reciproci diritti e doveri che tendenzialmente sono gli stessi derivanti dal matrimonio (assistenza morale e materiale, la coabitazione, il contributo reciproco in relazione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo ai bisogni comuni) ad eccezione dell’obbligo di fedeltà in questo caso non previsto. Tale dovere era stato inizialmente inserito nel testo originario, parificando le unioni civili al matrimonio: la scelta politica di escluderlo non scarta però totalmente la possibilità di un intervento diverso e successivo in questo ambito. È invece prevista la scelta in comune dell’indirizzo della vita familiare ed è applicata la disciplina prevista nel caso in cui la condotta di una delle due parti sia in “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altra parte”, applicandosi l’articolo 342-ter del codice civile (l’ordine di protezione emanato dal giudice, l’allontanamento dalla casa familiare).
Nel caso in cui vi sia la morte di una delle parti, verranno corrisposte al partner sia l’indennità prevista dall’articolo 2118 del codice civile (quella che normalmente viene prevista nel caso di recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato se non è dato preavviso), sia quella dell’articolo 2120 del codice civile (trattamento di fine rapporto).
Il comma 20 della stessa legge, riguardante l’equiparazione delle disposizioni contenenti le parole “coniugi” e “coniuge” delle “leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi” trova un limite per tutto ciò che riguarda le norme “del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184” (legge sull’adozione). Questa disposizione fa sorgere non pochi dubbi sulla portata degli effetti che potrebbe avere: in primo luogo, ad esempio, il problema dell’applicazione delle aggravanti nelle norme penali come il caso dell’omicidio previsto nell’articolo 577, 2 comma codice penale (ad esempio non verrebbe applicata una pena più severa, rispetto a quella classicamente prevista per l’omicidio, a chi uccide il proprio partner dell’unione civile, cosa invece prevista nel caso si uccida il proprio coniuge).
In tema di adozione non viene riconosciuta la possibilità di adottare un figlio alle coppie omosessuali in unione civile, così come viene negata la possibilità di adottare al partner in unione civile, il figlio naturale dell’altro membro del nucleo familiare (stepchild adoption).
Lo scioglimento dell’unione civile avviene in quattro ipotesi: la morte o dichiarazione di morte presunta di una delle parti (ossia quando il Tribunale accerta, dopo la richiesta dell’interessato o di chi ne abbia interesse o del pubblico ministero, che un soggetto si sia allontanato dal luogo in cui vive e non abbia dato/non ci siano state sue notizie per dieci anni), in alcuni casi previsti dalla Legge sul divorzio n. 898/1970 (ad esempio quando uno dei partner commetta un delitto), poi quando viene manifestata la volontà davanti all’ufficiale di stato civile (da parte di entrambi) di volersi separare ed infine nel caso in cui vi sia una modifica del sesso da parte di uno dei due partner.
La convivenza di fatto
I conviventi di fatto sono due persone maggiorenni con legami affettivi stabili di coppia, i quali si sostengono con reciproca assistenza morale e materiale, che non hanno vincoli di parentela, affinità o adozione, matrimonio o unione civile.
Ai fini del solo accertamento della stabile convivenza è sufficiente la dichiarazione anagrafica dei due soggetti; ma per l’attribuzione di alcuni diritti (ad esempio la successione in un contratto di locazione per la casa in comune in cui si viveva, nel caso in cui uno dei due partner muoia) non è escluso che il giudice (essendo già accaduto in passato) possa decidere anche in assenza della registrazione della convivenza.
Ai due partner vengono poi riconosciuti diversi diritti tra i quali: gli stessi spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario ( ad esempio i colloqui e lo scambio di corrispondenza), le visite e l’assistenza nel caso di malattia con degenza ospedaliera, ed inoltre di non poco conto è il potere di rappresentanza stabilito con il comma 40 (il convivente può in questo caso prendere decisioni in materia di salute e addirittura in caso di morte intervenire in ambito di donazione di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funerarie).
Per ciò che riguarda l’abitazione dove essi risiedono, in caso di morte del proprietario, l’atro partner potrà rimanere nella stessa per due anni, prorogabili fino a cinque nel caso in cui la durata della convivenza sia stata maggiore. Se vi sono dei figli, il diritto a rimanere nell’abitazione non è inferiore a tre anni. Viene meno questo diritto (per il partner che subentra al posto del defunto) nel caso di matrimonio, unione civile o nuova convivenza di fatto.
Nel caso di locazione (affitto in comune di un appartamento come casa familiare), il partner superstite può succedere nel contratto e rimanere nella casa per la durata dello stesso.
Nelle ipotesi di interdizione o inabilitazione (o di uno dei presupposti dell’articolo 404 del codice civile, ossia quando vi sia infermità, o menomazione fisica o psichica, o non si possa provvedere in modo autonomo ai propri interessi) di uno dei due conviventi, l’altro può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno.
Per i conviventi di fatto è possibile regolare i rapporti patrimoniali che intercorrono tra loro mediante un “contratto di convivenza” redatto in forma scritta con atto pubblico o scrittura privata avente la sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato il quale successivamente entro 10 giorni trasmette una copia dell’atto stesso al comune di residenza per l’iscrizione all’anagrafe; esso può inoltre contenere la regolamentazione riguardante: la scelta della residenza, le modalità di contribuzione alla vita in comune “in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo” e la scelta della comunione legale dei beni.
Nel caso di atti successivi con cui si modifica il contratto, oppure si scioglie la comunione dei beni o ancora ci sia la risoluzione o il recesso dallo stesso, poiché dovrebbero intervenire gli stessi professionisti (avvocati o notai) che hanno sottoscritto il contratto, la posizione e la relativa responsabilità che hanno questi può presentare alcuni problemi (ad esempio se a posteriori sono deceduti oppure hanno cessato di svolgere attività legale).
Nell’ipotesi in cui cessi la convivenza, “Il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento”; esiste dunque un diritto (che il giudice dovrà accertare) a vedersi riconosciute delle somme di denaro in proporzione alla durata della convivenza e alla propria situazione economica.
Si attendono i successivi decreti legislativi che andranno a specificare e a dare maggiore chiarezza al contenuto di questa Legge, in modo che gli organi giudiziari possano applicare ed interpretare in modo corretto le previsioni contenute nella stessa.