Federico Salmeri è un giudice di Milano che, lo scorso Marzo, ha deciso di concedere la protezione umanitaria ad un migrante economico: un ragazzo di ventiquattro anni proveniente dal poverissimo Gambia.
Si tratta di un vero e proprio atto “rivoluzionario” nel campo del diritto, in quanto per la prima volta in Italia viene riconosciuto un permesso di soggiorno per “fame”. Un’ordinanza che, appellandosi al diritto fondamentale della “libertà dalla miseria”, crea una piccola frattura nella rigida distinzione imposta dalla normativa italiana ed europea tra “rifugiati” e “migranti per motivi economici”.
Si tratta di una distinzione che, basandosi sulla “push/pull theory” , opera una netta differenziazione tra chi parte per necessità (i pushed, che saranno destinatari del diritto di asilo) e chi lo fa per una presunta “scelta” (i pulled, che saranno soggetti a provvedimenti di espulsione). Distinzione che, peccando di una eccessiva semplificazione del fenomeno migratorio, appare sempre più finalizzata ad una mera gestione dei flussi anziché ad una reale tutela dei diritti fondamentali.
Per affrontare in modo completo la tematica alla base delle argomentazioni contenute nell’ordinanza del Giudice Salmeri è opportuno rapidamente definire alcuni concetti fondamentali dei migranti, iniziando da quello del diritto d’asilo.
Il diritto d’asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale. L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede, infatti, che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica.
Il Trattato di Amsterdam (entrato in vigore il 1 gennaio 1999) ha sancito la cosiddetta “comunitarizzazione” del diritto di asilo, rendendo tale materia di competenza concorrente tra gli Stati Membri e l’ Unione Europea. Ciò significa che gli Stati possono legiferare fino a quando l’ Unione non intervenga in materia e che l’ esercizio di questa competenza da parte dell’ Unione debba avvenire nel rispetto dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà.
Se sul piano europeo si è dato vita al controverso “Regolamento di Dublino” in base al quale competente ad esaminare le domande d’asilo è il primo Stato membro in cui il migrante ha fatto ingresso; sul piano nazionale è il d.lgs. n. 251/2007 che disciplina in maniera organica tale materia.
A riguardo, bisogna evidenziare come il diritto di asilo si articoli in tre diversi tipi di tutela, caratterizzate da differente contenuto e intensità:
- Status di rifugiato
E’ riconosciuto al cittadino straniero che, nel proprio Paese, abbia subito atti di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o politico.
- Protezione sussidiaria
E’ riconosciuta al cittadino straniero che, pur non possedendo i requisiti per lo status di rifugiato, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno qualora ritornasse nel Paese d’ origine. A riguardo, sono considerati “danni gravi”:
- La condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte;
- La tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante;
- La minaccia grave ed individuale alla vita, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
- Protezione umaniataria
Se il cittadino straniero non ha i requisiti per ottenere né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, si può valutare la possibilità di concedergli la protezione umanitaria. Si tratta di una misura residuale riconosciuta quando sussistono delle situazioni di “vulnerabilità” da proteggere alla luce degli “obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato Italiano”.
La competenza sull’ esame delle domande di asilo è attribuita alle Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale. Si tratta di autorità amministrative operanti in modo collegiale e composte da quattro membri:
Le decisioni delle Commissioni Territoriali possono essere impugnate innanzi ai Tribunali ordinari, le cui sentenze in materia possono poi eventualmente costituire oggetto di reclamo davanti alla Corte di Appello e, in ultima istanza, di ricorso per Cassazione.
Notevoli criticità presenta sia la composizione di tali Commissioni sia le prassi che in essa si sono consolidate. In particolare bisogna evidenziare come:
- L’attuale composizione, con la presenza di due membri direttamente funzionari del Ministero dell’Interno, pone dei dubbi sulla reale indipendenza di tali Commissioni, requisito fondamentale per garantire un esame delle domande di asilo scevro da ogni influenza da parte del potere esecutivo;
- Nonostante la domanda di protezione debba essere esaminata in modo collegiale, la prassi prevalente evidenzia come la norma sia disattesa in favore di colloqui individuali;
- Numerosi sono i casi che attestano la mancanza di adeguati mediatori linguistici, condizione necessaria per garantire una corretta valutazione delle domande di protezione internazionale.
Problematiche che, lungi dal rappresentare mere criticità formali, incidono in maniera sostanziale sui diritti dei richiedenti e sulla loro possibilità di ottenere il riconoscimento dell’asilo.
Non è un caso, infatti, che i dati riguardanti le Commissioni territoriali sulla situazione dei richiedenti asilo, ci consegnino, al 10 giugno 2016, un quadro che vede un 60% di dinieghi (soprattutto per gli stranieri provenienti da Gambia, Nigeria, Mali, Egitto) e una lenta sparizione dello status di rifugiato, riconosciuto solo al 4% dei richiedenti.
Una situazione che sembra palesarci come il diritto d’asilo sia divenuto quasi “un privilegio concesso dallo Stato e non una condizione inerente l’ individuo”.
L’ analisi della disciplina del diritto d’asilo e dei suoi aspetti critici risulta necessaria per comprendere la portata innovativa posta in essere dall’ ordinanza con la quale Salmeri riconosce la protezione umanitaria ad un migrante per motivi economici.
Infatti, dinanzi ad una legislazione nazionale ed europea sempre più orientata a creare una netta dicotomia tra migrante-buono (meritevole di essere accolto) e migrante-cattivo (soggetto all’ espulsione), questo provvedimento sembra essere destinato a colmare le distanze giuridiche (e di conseguenza sociali) tra rifugiato e clandestino; svelando l’inadeguatezza di categorie concettuali fin troppo artefatte e riportando il diritto d’ asilo nella sua sfera originaria: la tutela dei diritti fondamentali.
Non è un caso che, proprio per questo suo provvedimento, Salmeri abbia visto l’apertura a suo carico di una pratica da parte del CSM, su proposta del consigliere laico del centrodestra Pierantonio Zanettin. Le accuse mosse contro il giudice riguardano “la mancanza di imparzialità e terzietà”; “la violazione della normativa interna e comunitaria”; “gli effetti destabilizzanti” che deriverebbero dal riconoscimento della protezione umanitaria ai migranti per motivi economici.
Tuttavia la migliore difesa a queste accuse è rappresentata proprio dalla stessa ordinanza di Salmeri, caratterizzata da un solido impianto giuridico e da una attenta valutazione degli obblighi nazionali ed internazionali gravanti sul nostro Stato in tema di asilo.
Il giudice rileva come “la compromissione del diritto alla salute e all’ alimentazione” comporti gravi situazioni di “vulnerabilità”, giuridicamente rilevanti quanto al riconoscimento della protezione internazionale. Salute e accesso all’ alimentazione, infatti, sono “diritti inalienabili dell’uomo” tutelati da obblighi costituzionali ed internazionali, quali:
- 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo”;
- 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: “Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia”;
- Il Patto Internazionale di New York del 1966, in cui viene riconosciuto il “diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame”.
Dunque, rimpatriare un cittadino proveniente da un Paese come il Gambia, caratterizzato da oggettive difficoltà economiche, da diffusa povertà e limitato accesso ai più elementari diritti inviolabili della persona, rappresenta, secondo Salmeri, una palese “violazione di tali obblighi costituzionali ed internazionali”. Da qui la necessità di riconoscere la protezione umanitaria a questo ragazzo di ventiquattro anni del Gambia.
Il giudice, sicuramente consapevole delle critiche che la sua decisione avrebbe potuto portare, afferma un altro importantissimo principio: per contrastare questa interpretazione non si può sostenere che essa comporterebbe “il rischio di un riconoscimento in massa della protezione umanitaria”. “Si badi infatti che il riconoscimento di un diritto fondamentale non può dipendere dal numero di soggetti cui quel diritto viene riconosciuto. Per sua natura, un diritto universale non è a numero chiuso”
Insomma, Salmeri sembra voler ribadire come i diritti fondamentali debbano essere, per loro natura, estranei a logiche competitive; come essi non possano subire dei processi di sottrazione. Se sono fondamentali ed inviolabili appartengono ad ogni persona in quanto tale ed a ciascuno di essa deve essere riconosciuta garanzia e tutela di tali diritti.
Riconoscere la protezione umanitaria ad un migrante economico non significa, dunque, cadere in dei facili buonismi ma comporta semplicemente il rispetto degli obblighi nazionali e internazionali che gravano sul nostro Stato e, potremmo dire, anche sull’ Europa. Significa rimettere il diritto al proprio posto. Evitando che quest’ ultimo sia oggetto di strumentalizzazioni e storture che, comportando una involuzione dello stesso, fanno fare un passo indietro rispetto alle grandi conquiste che sul campo dei diritti umani sono state fatte negli ultimi cinquant’anni.
I diritti fondamentali devono essere “presi sul serio”, ribadiva il filosofo e giurista statunitense Ronald Dworkin. Essi devono rappresentare dei “vincoli costituzionali ai poteri pubblici” ed, essendo indisponibili, devono essere sottratti alle decisioni della politica e del mercato. Ebbene, Salmeri, sembra fare proprio questo monito, dando vita ad una decisione in grado di restituire la giusta forza ai diritti fondamentali.
Non ci resta che sperare che altri seguano il suo esempio e che i “diritti fondamentali” ritornino ad essere “presi sul serio”.
Federica Borlizzi