Recarsi da un medico, al fine di avere una diagnosi circa il proprio stato di salute, è un’attività molto diffusa in Italia e nel mondo occidentale.
Esistono le visite di routine: si va, ad esempio, dall’oculista almeno una volta all’anno se si è miopi, si prende appuntamento dal ginecologo per sottoporsi al pap test, ci si sottopone al controllo dei nei.
Ci sono, tuttavia, casi nei quali le visite mediche conducono a diagnosi errate che possono provocare dei danni al paziente.
Cosa accade in queste occasioni?
Il paziente, qualora la diagnosi resa dal sanitario sia errata e ritenga di aver subito un pregiudizio, potrà valutare se richiedere un risarcimento del danno.
In tema di risarcimento del danno da errore medico diagnostico occorre tenere a mente i requisiti minimi di risarcibilità del danno non patrimoniale forniti dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nelle note sentenze dell’11 novembre 2008 (nn. 26972, 26973, 26974. 26975).
La Cassazione ha, infatti, individuato tre requisiti affinché il danno lamentato possa essere risarcibile.
- La lesione di un diritto inviolabile della persona di rilevanza costituzionale
In primo luogo, l’interesse leso deve avere rilevanza costituzionale. Ciò sta a significare che la tutela risarcitoria potrà essere azionata solo qualora venga accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona, garantito a livello costituzionale. Nell’ambito della responsabilità medica, generalmente, tale è la lesione del diritto alla salute, garantito dall’art. 32 della Costituzione.
La Cassazione afferma, infatti, che deve sussistere “un’ingiustizia costituzionalmente qualificata” (Cass. SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972).
Fatta tale premessa, occorre sottolineare che è ben possibile che ad un errore diagnostico conseguano terapie volte a rimuovere la malattia falsamente rilevata. In tali casi è piuttosto semplice riscontrare una violazione del diritto alla salute in quanto si sarà in presenza di un danno cosiddetto biologico, consistente, cioè, in una compromissione dell’integrità fisica scaturente da un, accertato, inutile trattamento medico.
Più interessante è, invece, esaminare il caso in cui all’errata diagnosi non si accompagni alcun trattamento sanitario, o per scelta del paziente oppure perché la diagnosi viene corretta prima dell’inizio delle terapie. In siffatte circostanze si potrebbe essere portati a negare l’esistenza di una lesione alla salute.
Tale interpretazione sarebbe errata.
Il diritto alla salute, interpretato estensivamente dalla Cassazione, non riguarda solo l’interesse del singolo a non vedere alterata la propria condizione psicofisica ma comprende anche il diritto a pretendere il miglior trattamento possibile sia sul piano terapeutico che diagnostico
- La lesione dell’interesse deve essere grave.
Il secondo requisito in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale individuato dalla Cassazione attiene al carattere della gravità.
Anche per l’elaborazione di tale requisito la Cassazione ha fatto, ovviamente, riferimento alla nostra Carta Costituzionale e, in particolare, all’art. 2 della stessa.
Tale articolo, che è utile leggere nella sua interezza, sancisce:
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
E’ l’obbligo di solidarietà che, lungi dall’essere un obbligo morale di ciascun individuo, è un dovere di tutti i consociati dettato a livello costituzionale.
Per dovere di solidarietà si intende che ciascuno è chiamato ad avere un grado minimo di tolleranza nei confronti delle lesioni minime dei propri diritti costituzionalmente garantiti in quanto naturalmente scaturenti dalla convivenza civile nella società.
Ad esempio, il carattere di gravità potrà rinvenirsi in casi di errata diagnosi di patologie tumorali e infezioni virali particolarmente aggressive. Di converso, non potrà sicuramente attribuirsi il carattere della gravità alla lesione derivante dall’inesatta diagnosi di un banale raffreddore. Ciò in quanto, in applicazione dell’art. 2 della Costituzione, un errore siffatto deve essere sopportato in quanto è lesivo solo in astratto del diritto alla salute.
- Il danno non deve essere futile.
In ultima analisi occorre analizzare la ripercussione subita a causa della lesione del proprio diritto alla salute.
Il danno non deve essere, infatti, futile. Non deve consistere in meri disagi o fastidi ma deve manifestarsi con un serio grado di afflittività. Anche questo requisito trova il proprio fondamento nell’art. 2 Costituzione sopra analizzato.
Oggetto di risarcimento, pertanto, ben potrebbero essere i pregiudizi che derivano da trattamenti sanitari inutili. Si pensi al paziente che sia stato sopposto ad amputazione di arto. Sicuramente tale operazione non porterà ad alcuna conseguenza risarcitoria quando sia necessaria per la cura di una patologia sussistenza, purché sia stata consapevolmente accettata dal paziente e regolarmente eseguita.
Potrebbe, però, accadere che l’amputazione dell’arto sia conseguenza di un’errata diagnosi. L’intervento non era necessario, quindi, anche se regolarmente eseguito, provoca un danno ingiusto (come, ad esempio, affermato da Cass. 14040/2013).
Inoltre, il paziente, a seguito dell’errata diagnosi, potrebbe sviluppare patologie psichiche. Ciò accade in quei casi in cui l’errata prospettazione della malattia conduca la persona a sviluppare depressione o disturbi post traumatici da stress.
Anche in tali casi il danno è ingiusto e risarcibile in quanto il danno alla salute deve considerarsi comprensivo anche delle sofferenze psichiche della persona.
Recentemente, inoltre, la Cassazione, tornata sul tema, ha affermato che non solo i pregiudizi biologici sono risarcibile ma anche le sofferenze che si manifestino quali conseguenze dell’unica lesione al diritto costituzionale della salute.
Secondo la Cassazione (n. 901/2018) potrebbe ben essere risarcibile il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sé, la malinconia se provati caso per caso.
In conclusione, ogni danno va provato dinanzi a un giudice e non può mai essere generalizzato.
Il riconoscimento, in astratto, del diritto ad essere tutelati rispetto agli errori diagnostici non porta ad automatismi risarcitori, in quanto qualunque pretesa risarcitoria deve essere supportata da allegazione e prova.
E’ proprio in ambiti come quello appena descritto che si annida il rischio di liti per motivi futili, che il dovere di tolleranza connaturato alla convivenza civile impone di schermare.
Non si può, quindi, chiedere il risarcimento del danno per un’errata diagnosi di un’influenza, che non abbia avuto conseguenze gravi sul piano della salute psicofisica.
La Cassazione, sul punto, è chiara: il danno non può consistere in meri disagi o fastidi, nella lesione di diritti immaginari, “come quello alla qualità della vita o alla felicità”.
Avv. Alessia Ragusa