Il 12 aprile 2016 è stato approvato in via definitiva il disegno di legge Boschi n. 1429/2016 sulla riforma costituzionale, il quale contiene modifiche sostanziali della conformazione del nostro Parlamento e della suddivisione delle funzioni tra le due Assemblee che ne fanno parte (Camera e Senato).
Numerose critiche sono state sollevate in merito alla decisione (di iniziativa prettamente governativa) di voler iniziare in sede parlamentare un procedimento di revisione della Carta costituzionale che comprendesse così tante modifiche essenziali.
Il Parlamento, con i suoi rappresentanti, opera in una situazione politica di forte tensione, anche dopo l’importante pronuncia della Corte costituzionale (n. 1 del 2014), con la quale viene espressamente dichiarata la scarsa legittimità dei componenti delle nostre Assemblee (la Corte sostiene come la Legge n. 270 del 2005 riguardante le modalità di elezione dei senatori e dei deputati, sia, insieme ad alcune norme precedenti quali alcuni articoli del d.p.R. 361 del 1957 ed alcuni del decr. Lgl 533 del 1993, incostituzionale in alcune sue parti).
Il procedimento attraverso cui è possibile modificare la Costituzione è articolato e prevede (articolo 138 Costituzione) che la Camera ed il Senato si esprimano favorevolmente sulle proposte avanzate dai propri membri per due volte a distanza di tre mesi l’una dall’altra e con la maggioranza dei voti per ciascun collegio. L’eventuale disegno di legge può altresì essere sottoposto a referendum popolare (richiesto entro tre mesi dalla pubblicazione del testo) nel caso in cui venga richiesto da: un quinto dei membri della Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Ciò non accade nell’ipotesi in cui nella seconda votazione ciascuna camera si sia espressa in modo positivo con i due terzi dei suoi componenti.
L’attuale legge di revisione della Costituzione modifica la composizione del Parlamento, eliminando il Senato e dando maggiori poteri alla Camera dei deputati.
Quest’ultimo organo deterrebbe le funzioni legislative, di indirizzo politico e controllo su quanto realizzato dal Governo, mediante il rapporto di fiducia che li lega.
Viene invece introdotto un altro tipo di collegio: l’Assemblea delle autonomie, rappresentante le istituzioni territoriali (composta dai Presidenti delle Giunte regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano, da due membri per ogni Regione, scelti dai Consigli regionali, e tre sindaci per ogni Regione scelti da un’apposita assemblea degli stessi). Questo nuovo organo svolgerà la funzione di favorire il dialogo tra lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni, esercitando anche una funzione legislativa (così come prevista e limitata nella Costituzione) insieme alla Camera (ad esempio nel momento in cui esamini un disegno di legge oppure esprimendo su questo un parere).
L’Assemblea delle autonomie può presentare un disegno di legge alla Camera, votando a maggioranza assoluta dei suoi componenti così che questa esamini tale proposta.
Le novità sostanziali riguardano la formazione delle Leggi, le quali differentemente dal passato (a meno che non si tratti di norme di revisione costituzionale), sono approvate dalla Camera dei deputati e non da entrambe le Assemblee. I disegni di legge approvati dalla Camera sono trasmessi all’Assemblea delle autonomie la quale potrà (se ne ha interesse) esaminarli, esprimendo un parere anche modificativo di alcune parti del testo, oppure non pronunciarsi. In alcune materie come ad esempio la gestione della fiscalità complessiva statale (nuovo articolo 70, 4 comma Cost.) il parere dell’Assemblea delle autonomie ha una valenza maggiore di quella ordinaria e, qualora la sua opinione si discosti da quella della Camera, il testo che quest’ultima aveva presentato diventa definitivo, solo nel caso in cui venga raggiunta una maggioranza assoluta all’interno della votazione finale nell’assemblea dei deputati.
Nel caso in cui sia il Governo a voler emanare dei decreti che abbiano valore di legge ordinaria (Decreti legge), la legge di delega che contiene i limiti entro i quali può operare il Governo viene emanata dalla Camera dei deputati (e non più da entrambe le Assemblee).
Sarà sempre la Camera ad approvare la “legge di bilancio” ed il “rendiconto consuntivo” presentato dal Governo annualmente, così come sarà sempre questa a deliberare lo stato di guerra e a conferire i conseguenti poteri al Governo.
La ratifica dei trattati internazionali avviene mediante l’intervento sia della Camera dei Deputati che dell’Assemblea delle autonomie.
Importanti sono le modifiche introdotte al titolo V della Costituzione (gli articoli che riguardano le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni) tra le quali si sottolinea l’eliminazione delle Province.
Sono ampliate le materie e le funzioni dove lo Stato ha potestà legislativa esclusiva rispetto agli altri enti (Regioni, Comuni e Città metropolitane): come ad esempio le previsioni riguardanti il sistema tributario, l’organizzazione dell’amministrazione pubblica e, in particolare, la regolazione dei rapporti di lavoro statali, e la programmazione della ricerca scientifica (su cosa concentrarsi e quali caratteristiche debba avere il professionista chiamato ad occuparsene). Molto importante è anche l’intervento esclusivo dello Stato sull’ordinamento delle professioni intellettuali, la gestione del territorio, l’energia e il trasporto.
È poi lasciata un’autonomia legislativa residuale (per tutto quello di cui non si occupa in via esclusiva lo Stato) alle Regioni, ferma restando anche la possibilità (introdotta con questa riforma) che la Camera, con legge dello Stato, deleghi per un tempo limitato le Regioni ad occuparsi (in accordo con le stesse) di materie solitamente di esclusiva competenza statale (come ad esempio la tutela dell’ambiente).
È inoltre abolito il CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro) che aveva una funzione di consultazione e di proposta legislativa nelle materie di interesse economico e delle leggi sul lavoro.
Il Governo ha stabilito come “banco di prova” per la verifica del consenso popolare a quest’iniziativa di riforma il referendum del prossimo Ottobre 2016, sostenendo in caso di esito negativo un’eventuale dimissione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del Ministro delle Riforme Costituzionale e del Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi.