In seguito al DPCM n.159/2013 e al Decreto Ministeriale n.486/2015 contenente modifiche agli indicatori ISEE ed ISPE per l’accesso ai benefici universitari, l’ente regionale Laziodisu ha emanato il Bando Unico dei Concorsi 2015/2016 fissando come requisiti di accesso, oltre al soddisfacimento dei criteri di merito, l’avere un parametro ISEE non superiore a 19.468 euro ed uno ISPE non superiore a 34.069.
Tale modifica dei parametri reddituali, prevedendo che concorressero a formare l’indicatore tutti i redditi percepiti dai componenti del nucleo familiare del richiedente la prestazione –compresi ad esempio quelli esenti da Irpef-, ha comportato una notevole restrizione della platea degli aventi diritto alla borsa di studio; con un evidente pregiudizio per numerosi studenti che fino all’anno precedente potevano usufruire del beneficio.
Per tale ragione, il sindacato universitario Link Roma ha posto in essere una vertenza per rivendicare da parte dell’Ente Regionale Laziodisu e della Regione Lazio un innalzamento dei limiti reddituali attraverso l’indizione di un nuovo bando di concorso aperto a tutti.
Ente Laziodisu pubblica, in data 13 giugno 2016, un “bando di concorso per la concessione di misure compensative straordinarie per l’anno accademico 2015/2016” nel quale, rispetto al bando ordinario,innalza i criteri Isee (a 23.000 euro) ed Ispe (a 50.000 euro) ma sottopone l’accesso ad una ulteriore condizione “aver presentato domanda di partecipazione ai concorsi di Laziodisu per l’a.a. 2015/2016 e non essere entrati utilmente in graduatoria per superamento dei valori economici Isee ed Ispe”.
Tale condizione ha comportato che molti studenti, pur rientrando nei criteri di reddito richiesti nel provvedimento, non hanno potuto accedere alle misure compensative, non avendo presentato domanda di partecipazione al primo bando ordinario.
Per tale ragione alcuni ragazzi, sostenuti dal sindacato universitario Link, hanno voluto intraprendere un ricorso dinanzi la giustizia amministrativa per dimostrare l’illegittimità della loro esclusione.
Fin da subito, come Alterego, abbiamo ritenuto necessario sostenere gli studenti in questa battaglia legale, assistendoli nella causa proposta innanzi al Tar.
Era evidente, infatti, come la restrizione della platea degli aventi diritto a partecipare al bando per le misure compensative costituisse una palese violazione di alcuni principi di diritto fondamentali.
Anzitutto si andava a ledere il principio sancito dall’art. 34 della Costituzione, terzo comma, in base al quale “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”.
La Carta Costituzionale, attraverso tale norma, subordina l’accesso ai benefici universitari a due soli requisiti: l’essere capace e meritevole e l’essere privo di mezzi. Qualsiasi ulteriore restrizione comporta,dunque, una evidente violazione dei principi di cui all’art 2; 3 e 34 della Costituzione.
In secondo luogo, del tutto manifesta era l’irragionevolezza della clausola che precludeva l’accesso alle misure compensative agli studenti che non avevano presentato domanda di partecipazione al primo bando.
Lo studente, infatti, non poteva ragionevolmente ipotizzare che la propria decisione di non partecipare al bando di concorso ordinario, constatando di non rientrare nei parametri indicati,sarebbe stata fonte di esclusione per l’accesso ad un nuovo bando, successivamente emanato, contenente nuovi parametri ISEE ed ISPE.
Trattasi, peraltro, di evidente disparità di trattamento.
Situazioni identiche, ossia il possesso da parte degli studenti degli stessi requisiti di merito e di reddito richiesti, venivano trattate in maniera differente, subordinando la partecipazione al nuovo bando straordinario ad un pre-requisito arbitrariamente fissato a posteriori dalla P.A.
A nostro avviso, dunque, sembrava ricorrere quella figura sintomatica di eccesso di potere da individuare nel diverso trattamento riservato dall’Amministrazione a situazioni identiche tra di loro.
Infine risulta evidente una complessiva illogicità e, comunque, una assoluta carenza della motivazione nella scelta dell’ente di condizionare la partecipazione alle misure compensative solo a chi aveva presentato domanda al bando ordinario per la erogazione delle borse di studio nel settembre 2015.
Infatti, da un parte nella Deliberazione n. 27 del Commissario Straordinario dell’ aprile 2016 (prodromica alla emanazione del bando impugnato) si afferma di ritenere “di dover garantire al maggior numero di studenti bisognosi e meritevoli l’accesso o il completamento degli studi universitari ai sensi dell’art. 34 della Costituzione – CHE SENZA ALCUN SOSTEGNO PUBBLICO NON SAREBBERO IN GRADO DI PROSEGUIRE”; dall’altra nel Bando impugnato viene esclusa una parte di coloro che dovrebbe essere destinatari di tale sostegno pubblico alla luce dei nuovi parametri ISEE e ISPE.
Limitando nel modo descritto la partecipazione al Bando impugnato, l’ente convenuto vanifica l’intento che afferma di voler perseguire, comportando una illegittima restrizione dei possibili partecipanti.
Dunque, vi è anche una manifesta contraddittorietà tra la volontà di garantire agli studenti meritevoli e bisognosi un sostegno pubblico e la restrizione della platea degli aventi diritto.
Il Tar, con sentenza n. 11146 del 04/11/2016 ha accolto i motivi da noi proposti, dichiarando che “la restrizione della platea degli aspiranti ai soli soggetti che avevano presentato domanda di partecipazione alla precedente versione del bando è illegittima”, così riconoscendo il diritto dei nostri ricorrenti di accedere alle misure compensative.
Si tratta di una importante vittoria giuridica.
Una vittoria che, riconoscendo il diritto allo studio come un diritto pieno ed incondizionato, comporta come diretta conseguenza l’impossibilità per la pubblica amministrazione di subordinare l’esigibilità di tale diritto a condizioni diverse da quelle dettate dall’art 34, terzo comma, della Costituzione.
Una vittoria che potrebbe segnare un importante precedente. Infatti, rimarcando la necessità giuridica di rendere effettivo il diritto in questione, sembra ricordare al legislatore il suo dovere di eliminare tutte quelle ragioni socio-economiche in grado di ostacolare il pieno sviluppo della persona nel suo legittimo diritto a ricevere una istruzione; senza potersi appellare ,per giustificare la mancata erogazione dei benefici universitari, ad una carenza di risorse economiche.
Siamo orgogliosi di aver messo le nostre competenze a servizio di una battaglia per garantire e tutelare un diritto così fondamentale come il diritto allo studio.
Speriamo che questo sia solo l’inizio di una presa di consapevolezza effettiva su quanto sia importante non privare più alcuno studente del diritto di iniziare e di proseguire con tranquillità il proprio percorso formativo.
I diritti fondamentali devono essere “presi sul serio”, sottolineava il filosofo e giurista statunitense Ronald Dworkin. Essi devono rappresentare dei “vincoli costituzionali ai poteri pubblici” ed ,essendo indisponibili, devono essere sottratti alle decisioni della politica e del mercato.
Non ci resta che augurarci che questa vittoria giuridica possa costituire un supporto per dare la giusta forza al diritto allo studio, perché esso possa ritornare ad essere “preso sul serio”.