Nell’ambito del diritto nasce, spesso, l’esigenza di aggiornare le normative statali per adeguarle all’evoluzione culturale del Paese e al sorgere di nuove esigenze. Generalmente siamo soliti pensare che questo aggiornamento avvenga attraverso l’introduzione di nuove disposizioni o l’aggiunta di nuovi particolari alla normativa in vigore. In realtà, uno strumento spesso utilizzato dal legislatore per raggiungere lo stesso scopo è la cosiddetta depenalizzazione, quel processo attraverso cui alcune condotte per le quali sono previste delle sanzioni penali vengono degradate a “semplici” illeciti civili.
In tal senso, si possono spiegare il contenuto e gli effetti del Decreto Legislativo 7 del 2016 che modifica numerose disposizioni del codice penale, sostituendole, in alcuni casi, con una nuova disciplina civile.
In particolare, il Decreto ha abrogato, e quindi eliminato dall’ordinamento penale, i reati di “falsità in scrittura privata” e “falsità in foglio firmato in bianco”, di “sottrazione di cose comuni”, di “appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito” e infine il reato di “ingiuria”.
Oltre alla loro eliminazione, è stato necessario modificare tutti gli altri articoli che contenevano riferimenti a quei comportamenti che non sono più rilevanti da un punto di vista penale.
Tra le modifiche che hanno colpito il codice penale, le più interessanti e degne di essere analizzate nei particolari riguardano i reati d’ingiuria e danneggiamento.
Partendo dal reato d’ingiuria, prima della riforma, chiunque offendeva l’onore o il decoro di una persona presente poteva, dietro “denuncia” (querela) dell’interessato, essere punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 euro. Lo stesso valeva se l’offesa fosse avvenuta mediante una comunicazione telefonica, mentre la pena sarebbe stata aumentata se l’offesa fosse stata pronunciata in presenza di altri soggetti.
In sostanza, l’ingiuria veniva considerata una cosa grave, tanto da poter essere punita, almeno formalmente, con la sanzione penale della reclusione.
Ad oggi le cose sono cambiate: il Decreto Legislativo per la depenalizzazione prevede infatti una nuova disciplina applicabile alla condotta ingiuriosa. L’art. 4 stabilisce che chi offende l’onore o il decoro di una persona, anche mediante comunicazioni telefoniche o informatiche, può essere condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria compresa tra i cento e gli ottomila euro, che verrà stabilita concretamente dal giudice a seconda della gravità del comportamento ingiurioso, della personalità del colpevole, delle sue condizioni economiche ed altri criteri previsti dal Decreto.
Per quanto riguarda il reato di danneggiamento il discorso è più complesso. Esso, infatti, non è stato propriamente depenalizzato, ma ha subito una modifica tale da determinare due diverse ipotesi e condotte di danneggiamento. Ad essere depenalizzata, in realtà, è solo l’ipotesi meno grave di danneggiamento, prima prevista dal primo comma dell’art. 635; per le altre ipotesi aggravate, come ad esempio il danneggiamento compiuto con comportamento violento o il danneggiamento di edifici pubblici o religiosi, viene mantenuta la disciplina del codice penale che prevede la sanzione della reclusione da sei mesi a tre anni. Per le ipotesi di danneggiamento che non sono previste nel codice penale, invece, il colpevole può essere punito con una sanzione pecuniaria civile che può andare dai duecento fino ai dodicimila euro oltre alle spese per il risarcimento del danno causato.
In conclusione, la depenalizzazione non è uno strumento che il legislatore utilizza per legalizzare, dall’oggi al domani, comportamenti sanzionati dal diritto penale, ma, al contrario, risponde alla necessità di punire quei comportamenti con sanzioni di tipo diverso. D’altronde, le sanzioni pecuniarie civili di cui abbiamo parlato sono tutt’altro che leggere, permettendo da un lato il mantenimento dello scopo preventivo e garantendo, dall’altro, l’adeguatezza della punizione all’evoluzione sociale.
Dott. Marcello Ricciuti