La corruzione affligge pesantemente l’efficienza e l’affidabilità delle istituzioni, sempre più spesso travolte da scandali giudiziari e mediatici tali da minare la fiducia e la credibilità delle stesse agli occhi dei cittadini. Di conseguenza quella che un tempo Enrico Berlinguer definì la “questione morale”, oggi trova sempre più spazio nelle discussioni parlamentari e istituzionali. Per arginare il fenomeno della corruzione si sono tentate numerose strade. La prima di esse corrisponde all’inasprimento delle pene e la riforma dei reati di corruzione e concussione attraverso la l. 190/2012 (cosiddetta “Legge Severino”). Ma, oltre a tale inasprimento, si è reputato necessario anche riorganizzare il metodo di lavoro delle amministrazioni pubbliche, al fine di evitare il più possibile fenomeni di dispersione e scarsa rintracciabilità delle risorse pubbliche e delle decisioni che ne veicolano l’utilizzo.
L’intento di rendere sempre più trasparente la complessa catena di comandi che sorregge la macchina amministrativa, venne già nella stessa Legge Severino, attraverso la predisposizione di un Piano nazionale triennale finalizzato a contrastare i fenomeni di corruzione nelle amministrazioni pubbliche. Tuttavia anche le attività più semplici degli uffici pubblici dovevano sottostare a delle nuove logiche di trasparenza al fine di aumentare la credibilità dell’Amministrazione. Ciò viene perseguito attraverso il d. lgs. 97/2016, che costituisce uno dei decreti di attuazione della riforma organica della Pubblica Amministrazione denominata “Riforma Madia”, in nome dell’attuale ministro promotrice. Sempre nel rispetto degli obiettivi di semplificazione, digitalizzazione, aumento della trasparenza ed efficienza della legge delega originaria, tale normativa introduce delle misure che permettono il controllo di tante delle attività della Pubblica Amministrazione da parte di chi ne abbia interesse. In particolare vengono imposte nuove regole per l’accesso agli atti prodotti dalla Pubblica Amministrazione. Tale diritto, già sancito nella l. 241/1990 sul procedimento amministrativo, viene fatto oggetto di specificazioni ed ampliamenti.
In particolare viene distinto il contenuto dell’atto fra documenti pubblicabili in via diffusa e documenti che, in ragione di specifici rimandi a dati sensibili e personali di soggetti coinvolti, non possono essere fatti oggetto di tale trattamento.
Tale distinzione e la decisione sulla loro pubblicabilità viene assunta di concerto fra l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che determina il grado di rischio della mancata pubblicazione del documento, e il Garante della Privacy. In linea generale, tuttavia, tutti i documenti amministrativi devono essere oggetto di pubblicazione, che si deve necessariamente avvalere dei mezzi informatici per garantirne un accesso veloce e diffuso. Viene comunque fatta salva una certa discrezionalità in capo all’ANAC nel determinare quali documenti possano essere parzialmente oscurati in ragione della loro peculiare importanza e strategicità, attraverso un richiamo alla vecchia ipotesi del “segreto e ragion di Stato ”. Tale nozione (per la prima volta enucleata nel “Principe” di Niccolò Machiavelli) indica quella facoltà, in capo allo Stato, di secretare condotte o atti di diverse istituzioni la cui divulgazione metterebbe a serio repentaglio l’equilibrio istituzionale e politico dello Stato stesso (ancora oggi molti avvenimenti della storia recente italiana, come la strage della stazione di Bologna, sono coperti dal segreto di Stato).
Il trattamento dei dati rilasciati dall’amministrazione, tuttavia, non può essere rimesso alla libera iniziativa dei privati. Ad esempio i dati stilati dall’ISTAT a fini statistici sono spesso molto utili sia per i privati che per altri enti pubblici per sviluppare peculiari attività di ricerca. Tuttavia l’utilizzo di tali fonti statistiche non è privo di limitazioni. Non è possibile, ad esempio, scardinare il regime di anonimato delle fonti statistiche messe a disposizione attraverso l’individuazione dei soggetti interpellati; così come, qualora i dati siano corredati dai dati sensibili delle fonti stesse, non sarà possibile farne uso se non per casi strettamente previsti. Inoltre la circolazione degli stessi per via informatica non potrà avvenire liberamente, ma solo attraverso canali protetti e mediante l’uso di apposite reti digitali (ad esempio dei laboratori di ricerca che sfruttino peculiari sistemi di crittografia dei dati). Ciò garantisce un duplice scopo: da un lato la salvaguardia dell’attività di ricerca e della libera iniziativa privata e, dall’altra, la tutela della privacy.
Un’attenzione peculiare, infine, viene dedicata ai capitoli di spesa sostenuti dalle Pubbliche Amministrazioni nell’esercizio delle loro attività. L’utilizzo dei fondi pubblici in maniera poco trasparente in passato è stato causa di numerosi scandali e roventi proteste nei confronti dei rappresentanti istituzionali. Per evitare l’utilizzo illecito di tali risorse la normativa impone la pubblicazione online delle voci di spesa in apposite sezioni dei siti web di pertinenza denominate “Amministrazione trasparente”, in cui sarà obbligatorio dare conto in maniera alquanto specifica e dettagliata delle spese sostenute. Tale soluzione garantisce, nelle intenzioni del legislatore, un controllo costante sulle attività amministrative da parte di chiunque, non essendo tali dati sottoposti ad alcun limite di accesso.
Si può di conseguenza affermare che tale normativa raggiunga l’obiettivo della semplificazione, che anima il disegno riformatore della ministra Madia, facendo anche buon uso delle nuove tecnologie ai fini informativi. Tuttavia è altrettanto rilevante affermare che, nonostante l’utilizzo di nuovi procedimenti di controllo, difficilmente si potrà estirpare il fenomeno della corruzione e del malcostume nelle Pubbliche Amministrazioni, senza predisporre parallelamente un cambiamento culturale profondo e radicale, che accantoni definitivamente la logica del “furbetto” e faccia emergere quella della comunità.
Dott. Mattia Palatta