Secondo la legge, nel caso in cui il datore di lavoro sia costretto a porre in cassa integrazione straordinaria a rotazione i suoi dipendenti, egli deve obbligatoriamente prevedere ex ante i criteri e le modalità necessarie a garantire una corretta e legittima rotazione del personale, senza ledere i fondamentali principi di non discriminazione, correttezza e buona fede propri del nostro ordinamento.
Peraltro, tali criteri e meccanismi di organizzazione dell’attività lavorativa devono essere concertati con le rappresentanze sindacali e, ove necessario, raccolte in accordi sindacali sottoscritti dalla stessa azienda.
Accade spesso, tuttavia, che il datore di lavoro ponga in cassa integrazione straordinaria una larga parte dei propri dipendenti e non operi il meccanismo della rotazione, non fornendo, inoltre, alcun tipo di adeguata motivazione a sostegno della sua scelta.
Il risultato è che vi sarà parte dei lavoratori che continuerà ad essere impiegata nella propria attività lavorativa, mentre altri dipendenti rimarranno a casa.
Al riguardo, si segnala che, secondo quanto riportato dalla più rilevante giurisprudenza, scelte di tale portata costituiscono una particolare tipologia di demansionamento, poiché la prorogata inattività del lavoratore è idonea a ledere la sua immagine e dignità professionale. Inoltre, in particolari professioni altamente specializzate, la prorogata inattività può comportare la perdita di licenze e requisiti, utili a rimanere competitivi nell’odierno mondo del lavoro.
Pertanto, alla luce di tutto ciò, il lavoratore avrà diritto a chiedere giudizialmente la condanna del suo datore di lavoro alla riammissione immediata in servizio ovvero ad un risarcimento del danno, tanto economico quanto personale, patito.