La condizione di uguaglianza è uno dei capisaldi del nostro sistema di diritto e, più in generale, della nostra società. Essa rappresenta senza dubbio una delle prerogative di maggior importanza degli ordinamenti giuridici moderni, i quali cercano di trattare in modo il più possibile equo (e non uguale) tutti i cittadini.
Al contrario, qualora si decidesse di non limitarsi a un mero appiattimento del trattamento degli individui su uno standard comune, ma si decidesse di trattare gli individui in ragione delle loro differenze e peculiarità, si assisterebbe ad una forma di maggiore equità e, soprattutto, a un livellamento (per quanto possibile) delle opportunità a disposizione di ognuno. Tale sistema prende il nome di “uguaglianza sostanziale” che, a differenza di quella formale, non pretende di trattare tutti allo stesso modo ma di garantire a tutti le medesime opportunità attraverso dei trattamenti spesso differenziati, in ragione delle condizioni soggettive di ognuno.
É per tale motivo che nel nostro ordinamento trovano applicazione molteplici disposizioni volte ad avvantaggiare alcune categorie rispetto ad altre, al fine di proteggere determinati soggetti che per la loro situazione personale necessitino di apposite misure normative.
Fra le tante categorie su cui si è concentrata l’attenzione vi è senza dubbio quella dei disabili.
Per cercare di includerli il più possibile all’interno della vita economica e sociale del Paese, si è dato vita ad una serie di disposizioni che prevedono dei trattamenti e degli accorgimenti a loro favore, giustificati dalla necessità di compensare la condizione di svantaggio e difficoltà a cui purtroppo sono quotidianamente sottoposti.
Ad esempio, è possibile ricordare la normativa che obbliga le aziende a riservare una quota del proprio personale lavorativo a persone disabili (l. 68/1999), al fine di permetterne l’inserimento nel mondo del lavoro e garantire quella realizzazione sociale e personale che, in condizioni di libera concorrenza, molto probabilmente gli verrebbe negata a causa della loro ridotta produttività. Tale norma rappresenta senza dubbio una grande conquista verso un principio di effettiva inclusione sociale anche delle classi più svantaggiate, in ottemperanza al principio dell’uguaglianza sostanziale.
Proprio rifacendosi a tale principio, non risulta troppo distante una recente sentenza della Corte di Cassazione in cui, in seguito al ricorso di un disabile, si decretava la sussistenza di un vero e proprio comportamento discriminatorio, a danno del ricorrente, per l’assenza di un’adeguata via di accesso ai luoghi di pubblico interesse.
Nel caso specifico, il ricorrente, costretto sulla sedia a rotelle, lamentava la mancanza di un’adeguata passerella o rampa idonea a permettergli l’accesso ad uno sportello bancomat che si trovava rialzato di pochi gradini dal livello del suolo. Tale condizione, che ad un normodotato può apparire decisamente trascurabile, rappresenta invece un ostacolo insormontabile per una persona affetta da una grave disabilità motoria. Ciò le impediva di svolgere alcune delle attività più comuni della nostra vita (come ritirare soldi da un bancomat), arrecandole un disagio del tutto ingiustificato e dovuto unicamente all’assenza di una misura di carattere equitativo che potesse compensare la sua situazione di disabilità.
La connotazione discriminatoria della vicenda è, inoltre, anch’essa abbastanza evidente: l’assenza di una qualsiasi forma di accesso facilitato per tale categoria di persone, seppur non dovuta ad un intento denigratorio esplicito, rappresenta comunque un inasprimento ingiusto delle condizioni di accesso ad un luogo che dovrebbe prevedere l’assoluta parità di trattamento che, al pari delle discriminazioni dolose basate su motivazioni razziali o sessuali, non può essere tollerato dal nostro ordinamento, poiché in grado di alimentare un sentimento di esclusione sociale profondo ed intollerabile nei confronti delle vittime di tali situazioni.
Quello che, invece, può impressionare realmente della vicenda è il carattere apparentemente lieve della violazione contestata. Infatti agli occhi della maggioranza della popolazione la presenza di un paio di gradini per arrivare ad uno sportello bancomat non costituisce un elemento di discussione valido poiché perfettamente compatibile con la propria condizione di vita. Il quadro, invece, assume tinte molto più drammatiche nel caso di un disabile per cui anche il minimo ostacolo (“barriera architettonica”) può seriamente rappresentare un limite invalicabile per sentirsi incluso all’interno della società.
Di conseguenza, soprattutto per chi vive in una grande città, è d’obbligo prestare maggiore attenzione e rispetto per la condizione di tali soggetti ed evitare atteggiamenti (come ad esempio parcheggiare sugli attraversamenti pedonali o sulle rampe di accesso dei pedoni) che potrebbero costituire degli ostacoli insormontabili per chi versa in condizioni più sfortunate delle nostre.
Dott. Mattia Palatta