L’istinto di difesa dalle aggressioni o minacce esterne è senza dubbio uno dei più radicati nella coscienza comune, rappresentando una vera e propria necessità per la sopravvivenza. Proprio per questa sua intima connessione con un’esigenza quasi primordiale, la possibilità di difendersi è sempre stata presente negli ordinamenti del passato, adattandosi alle varie sensibilità storiche e culturali. Con l’avvento dello Stato di diritto, la prerogativa della difesa personale è sopravvissuta, seppur con dei tratti molto diversi. Infatti, grazie al rafforzamento del potere giurisdizionale dello Stato, gli individui sono stati privati della facoltà di “farsi giustizia da sé” (c.d. autotutela) così come concepito in passato, per lasciare spazio ad un potere di risoluzione delle liti (dalle più gravi alle meno gravi) detenuto unicamente dallo Stato, che lo esercita in via esclusiva proprio per evitare il ricorso all’autotutela e mantenere l’ordine sociale. La legittima difesa, dal canto proprio, rappresenta forse l’ultimo residuo di questo vecchia tradizione che, in quanto inserita all’interno del sistema dello Stato di diritto, ha dovuto obbligatoriamente restringere i confini della propria portata.
Al giorno d’oggi, infatti, la legittima difesa non è esercitabile in maniera libera ed indiscriminata da chiunque. Il codice penale, all’art. 52, pone dei limiti molto stringenti al suo utilizzo, proprio per scoraggiare il più possibile il ricorso dei privati alla violenza e legittimare sempre di più il potere di intervento dello Stato. In particolare il primo comma afferma che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Alla luce di ciò non tutte le reazioni ad un evento ingiusto o dannoso potranno catalogarsi automaticamente sotto la scriminante della legittima difesa (essa è una causa di non punibilità, al pari dello stato di necessità); per poterlo fare, sarà necessario dimostrare l’esistenza dell’offesa ingiusta (rappresentata da un qualsiasi comportamento a causa del quale il soggetto che si ritrovi a subire tale circostanza debba sopportare danni di vario tipo e di ogni gravità), del pericolo concreto attuale (la reazione dovrà fronteggiare una situazione di pericolo effettiva e, soprattutto, attuale al momento della reazione: non sarà quindi riconducibile alla legittima difesa l’aver sparato al ladro in fuga dall’appartamento con la refurtiva, non essendovi al momento dello sparo una concreta minaccia in atto ma un danno già subito) e, soprattutto, quello della proporzionalità della reazione (in base al quale sarà ammissibile come difesa legittima solo quella reazione la cui gravità sia pari, o quantomeno simile, alla minaccia subita o al pericolo incombente da cui ci si intenda proteggere) che risulta senza dubbio essere quello di più difficile realizzazione.
Infatti è quantomeno improbabile che, al momento della reazione, la vittima sia tanto lucida da riuscire a calcolare esattamente la gravità della minaccia o del pericolo fronteggiato e, conseguentemente, adeguare la sua reazione. Inoltre, a causa della mancata definizione di “proporzionalità”, essa spalanca le porte all’intervento discrezionale del giudice che, di caso in caso, definirà l’effettiva proporzionalità della reazione mostrata dalla vittima. Tale sistema era unicamente incentrato ad imporre al privato l’accantonamento della reazione violenta per lasciare spazio al potere dello Stato di perseguire i reati, temendo che un’eccessiva apertura a tale prerogativa potesse scatenare un’ondata di violenza incontrollata e destabilizzare la pace sociale.
Tuttavia, nonostante le apprezzabili premesse di mantenimento della pace sociale, troppo spesso negli ultimi tempi si è assistito a sempre più frequenti episodi di cronaca in cui al compimento di specifiche ipotesi criminose (in special modo le rapine nelle abitazioni) sono seguite reazioni sproporzionate nella loro entità, a causa del forte spavento delle vittime. Ciò ha comportato, in molti casi, la condanna della vittima per eccesso colposo. Esso si manifesta in tutti quei casi in cui, secondo l’art. 55 del codice penale, il soggetto, pur non volontariamente, ponga in essere delle reazioni eccedenti i limiti stabiliti dalla legge: si pensi, a titolo esemplificativo, al recente caso di cronaca di Vaprio d’Adda che vedeva coinvolto un pensionato che, colto in flagrante un ladro nella sua abitazione, ha aperto il fuoco contro di lui ferendolo mortalmente. L’anziano, pur avendo subito un furto nella sua abitazione, venne indagato per eccesso colposo nella legittima difesa. Tale emblematico caso suscitò delle reazioni tanto vive nell’opinione pubblica che, quasi immediatamente, riprese corpo l’idea di riformare l’intero impianto della legittima difesa poiché considerato eccessivamente garantista per i delinquenti e troppo punitivo per le vittime.
A tal proposito sono seguite due proposte di riforma sostenute da due partiti avversi. La prima è rappresentata dalla proposta di legge Molteni (dal nome del deputato relatore), sostenuta dalla Lega Nord. Lo scopo principale di tale intervento di riforma è quello di cancellare il sistema di valutazione discrezionale sull’appropriatezza della legittima difesa e la possibilità di incorrere nell’eccesso colposo a causa del suo utilizzo. Per fare ciò, la proposta di legge cerca di introdurre un nuovo comma all’art. 52 del codice penale, in cui si afferma che “si presume, altresì, che abbia agito per difesa legittima colui che compie un atto per respingere l’ingresso, mediante effrazione o contro la volontà del proprietario, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di persona travisata o di più persone riunite, in un’abitazione privata, o in ogni altro luogo ove sia esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”: grazie a questa introduzione, la reazione di difesa non sarebbe più sottoposta al giudizio discrezionale del giudice sulla sua proporzionalità, ma diverrebbe sempre legittima a patto che essa si verifichi in una delle circostanze stabilite dalla legge. Tale meccanismo (definito di presunzione assoluta, con cui si dimostra la sussistenza di un determinato fatto attraverso una semplice presunzione senza che vi sia la possibilità di provare il contrario) impedirebbe al giudice qualsiasi interferenza e valutazione sulla punibilità della reazione. È però abbastanza evidente che, pur ampliando apparentemente l’ambito di tutela per la vittima del comportamento criminale, si correrebbe un rischio di apertura eccessiva all’autotutela: infatti, attraverso questo sistema, non avrebbe importanza la gravità del crimine subito, poiché troverebbero piena legittimazione anche le reazioni più esasperate a fronte delle offese più lievi (sarebbe possibile, ad esempio, sparare al ladro nel proprio appartamento anche se questo è disarmato oppure non mostra alcun segno di aggressività).
Tale proposta di legge è attualmente sotto esame da parte della Camera dei Deputati, in attesa della sua approvazione.
Durante il dibattito parlamentare, tuttavia, non sono mancate le voci critiche nei confronti di siffatta proposta come affermato da Rodolfo Sabelli e Beniamino Migliucci (rispettivamente presidente dell’Associazione nazionale magistrati e dell’unione camere penali) che, in un’audizione congiunta alla Camera presso la Commissione Giustizia, hanno espresso forti dubbi e critiche sulle proposte presentate. In particolare “adeguando le norme sulla legittima difesa alla fenomenologia si rischia di degradare la previsione legislativa astratta rispetto alla casistica”, ha infatti osservato Sabelli, lasciando impuniti comportamenti che per nessun motivo potrebbero essere ricondotti al di sotto dell’alveo della legittima difesa (ad esempio la reazione invece della possibile fuga, l’aver provocato uno stato di pericolo dovuto alla reazione ed all’intervento invece di avvertire in maniera tempestiva la polizia). Viene inoltre ricordata all’interno del medesimo intervento anche la variabile della “legittima difesa putativa”, che trova attuazione in tutti quei casi in cui un comportamento fuorviante di un individuo generi in colui che vi assista un timore infondato di subire un danno o di ritrovarsi vittima di un reato e, in conseguenza di ciò, dà vita ad una reazione di difesa inutile (è il caso occorso al calciatore della Lazio Luciano Re Cecconi che, il 18 gennaio 1977 in circostanze ancora oggi poco chiare, rimase ucciso a causa della reazione di un gioielliere ad una sua presunta messa in scena di una rapina fittizia per motivi scherzosi: in tale caso il gioielliere venne assolto dall’accusa di omicidio volontario poiché incorso in un’ipotesi di legittima difesa putativa).
Per contrastare tale riforma, è stato presentato un emendamento al testo della proposta di legge firmato da David Ermini (PD) in cui si sposta l’attenzione dall’art. 52 al 59 del codice penale. Tale norma (intitolata “Circostanze non conosciute o erroneamente supposte”) regolamenta la punibilità dello stato di inconsapevolezza della sussistenza di una particolare circostanza in grado di incidere sulla determinazione della pena, in senso positivo o negativo. L’emendamento Ermini propone di aggiungere un ulteriore comma all’articolo in questione che recita: «nei casi previsti dall’articolo 52, secondo comma, la punibilità è sempre esclusa quando l’errore sulla situazione di pericolo o sui limiti imposti dalla necessità è conseguenza del grave turbamento psichico determinato dal comportamento della persona contro cui è diretto il fatto, salvo che l’offesa cagionata risulti manifestamente sproporzionata».
Attraverso tale soluzione si tenterebbe di ampliare la tutela delle vittime, evitando di far ricadere nell’eccesso colposo la reazione dovuta ad un comportamento in grado di generare nello spettatore un forte senso di inquietudine e paura (si pensi al caso in cui una donna ritenga erroneamente di essere oggetto di un tentativo di stupro e, in preda al panico, colpisca il presunto aggressore con un oggetto contundente ferendolo o uccidendolo).
Le conseguenze di una soluzione di questo tipo sarebbero diametralmente opposte rispetto alla precedente: infatti se nella proposta Molteni si sarebbe trasformata la legittima difesa attraverso la previsione di casi specifici in cui essa avrebbe trovato applicazione senza il pericolo dell’eccesso colposo, tale soluzione avrebbe come effetto il mantenimento della valutazione del magistrato, in quanto non andrebbe a modificare i parametri della legittima difesa, ma solo quelli dell’art. 59. Ciò garantirebbe un’applicazione della scriminante più aderente alle caratteristiche del caso, non generalizzandola ma mantenendo pur sempre quel carattere di “ultima spiaggia” che l’ordinamento concede al malcapitato.
Contrariamente, invece, si rischia di prestare il fianco ad interpretazioni errate che farebbero passare il messaggio dell’impunità della reazione, rischiando di generare un clima da “far west” che poco si addice ad un Paese civile. Infatti, attraverso l’eccessiva valorizzazione della reazione del privato, si rischierebbe di regredire a degli standard di vita giuridica che da molto tempo ci siamo lasciati alle spalle, con una forte rievocazione della violenza privata.
Indipendentemente dagli eventi di cronaca che possono ovviamente alimentare un comune senso di malessere e di ingiustizia, non è il caso di cedere alla tentazione del fin troppo semplice quanto rischioso “giustizialismo fai-da-te”: infatti, come ogni strumento, anch’esso è sottoposta al rischio di un suo errato utilizzo, che aumenta in maniera esponenziale non solo a causa delle mere circostanze di pericolo, ma anche a causa dell’inclinazione della persona (esistono persone più avvezze a reazioni violente rispetto ad altre), delle sue condizioni culturali e psichiche e da molteplici fattori ulteriori che possono ugualmente concorrere. Di conseguenza, è forse troppo rischioso consegnare nelle mani di tutti (in maniera indiscriminata) un potere di reazione tanto esteso così come previsto dalla proposta Molteni, che si basa forse su una fiducia esagerata nella capacità di giudizio delle persone in situazioni di pericolo.
Dott. Mattia Palatta