Lamen, 12 anni, sudanese. Due grandi occhi neri ed un sorriso bellissimo.
Ha dovuto imparare subito a diventare uomo: costretto a lasciare da solo il suo Paese, a subire le torture in Libia, ad intraprendere un viaggio della morte su un barcone.
Una volta riuscito a raggiungere le nostre coste, si è ritrovato davanti un’Europa ostile ed inumana, incapace di garantirgli quella serenità così desiderata ma che, anzi, ha continuato a violare i suoi diritti di bambino e di essere umano.
Giunto a Roma, ad accoglierlo vi è stata l’ indifferenza delle istituzioni che volontariamente hanno ignorato la sua presenza e lo hanno abbandonato a sé stesso, facendolo divenire un invisibile.
Lamen, tuttavia, nella Capitale è riuscito ad incontrare anche un po’ di umanità grazie alle volontarie e ai volontari del Baobab, ai medici di Medu e agli operatori di Intersos.
Questo piccolo uomo vuole però continuare il suo viaggio, ripartire per Ventimiglia, arrivare in Francia per provare a raggiungere l’Inghilterra, alla ricerca di una felicità e di una infanzia fin troppo negata.
Lamen è quello che si definisce un “minore non accompagnato”, ossia parte di quell’esercito di bambini stranieri che giungono nei nostri territori senza genitori o adulti che si prendano cura di lui.
Lamen è, appunto, solo un bambino; dovrebbe studiare, giocare, avere qualcuno che lo accudisca.
Si ritrova, invece, a vagare da solo per un’Europa in cui lo “stato di diritto” sembra non esistere.
A lui e molti altri nella sua stessa drammatica situazione è dedicata un’intera “Carta” approvata nel 1959 dall’Assemblea Generale dell’Onu. È la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, in cui si sancisce solennemente che ogni bambino ha diritto “ad una vita dignitosa”, ad “alimentazione, alloggio, svaghi e cure mediche adeguate”, “ad amore e comprensione”.
Tramite questa Dichiarazione l’umanità si sarebbe dovuta fare norma e,facendosi norma, avrebbe dovuto vincolare al suo rispetto tutti gli Stati che l’hanno sottoscritta.
Ma la storia ci insegna come non sia sufficiente fissare dei principi fondamentali in delle Dichiarazioni solenni perché vengano rispettati.
È quello che alcuni giuristi chiamano la “divaricazione tra dover essere ed essere”, nel mezzo si trova Lamen ma ci siamo anche tutti noi.
Noi che, ad un certo punto, dovremmo decidere da che parte stare.
Dalla parte di Lamen e dei diritti oppure dalla parte dell’indifferenza e del “sonno della ragione”.
Dall’inizio dell’anno sono stati quasi 5.000 i migranti morti nel tentativo di raggiungere le nostre coste, con il 2016 che si sta rivelando l’anno più letale in termini di vite umane perse.
Medici Senza Frontiere, impegnata da mesi nei soccorsi in mare, ha denunciato che il “16% degli arrivi è rappresentato da bambini e che l’88% di loro sono minori non accompagnati”; “molte donne soccorse incinte e molte delle gravidanze sono frutto di violenze sessuali in Libia”.
Terrificanti sono, infatti, le storie degli abusi che i migranti hanno dovuto subire una volta giunti in territori libici: “atti di violenza, rapimenti, detenzione arbitrari in condizioni disumane, tortura, sfruttamento finanziario e lavori forzati”.
Il rapporto di Msf si conclude esortando le istituzioni europee ad istituire canali di ingresso legale, unico modo per fermare le stragi nel Mediterraneo e per tutelare realmente i diritti umani fondamentali.
Sollecitazione che, tuttavia, l’Europa non sembra voler accogliere, essendo intenzionata a mantenere in vigore il patto con la Turchia ed a siglare nuovi accordi con i Paesi di origine e di transito dei migranti per bloccarne le partenze.
Una scelta tutta orientata a spostare il problema delle migrazioni lontano dai confini europei, nonostante ciò possa rappresentare una violazione delle norme di diritto internazionale e umanitario.
Proprio a tal proposito la settimana scorsa, l’organizzazione spagnola AccesInfo Europe ha presentato alla Corte di Giustizia Europea un ricorso contro l’accordo Ue-Turchia, già aspramente criticato da numerose associazioni per i diritti umani.
Nel ricorso si evidenzia come tale accordo contraddica quanto previsto dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, “violando apertamente i diritti fondamentali come quello alla vita, alla dignità, alla libera circolazione delle persone”.
Si tratta di un’azione legale importantissima, poiché costituisce un’occasione per palesare le violazioni dei diritti umani messe in campo dalle attuali politiche europee.
Nel frattempo, però, rimane il problema di un Mediterraneo divenuto un’ecatombe e di un diritto d’asilo negato; della mancata predisposizione nei Paesi europei di un sistema di accoglienza adeguata e, di conseguenza, dei tanti Lamen che si aggirano invisibili per le strade delle nostre città.
Un problema complesso che avrebbe bisogno di diverse soluzioni, tutte accomunate da un unico filo rosso: rimettere al centro i diritti e l’umanità.
Un’ umanità persa da un’ Europa che, anziché innalzare muri e confini, dovrebbe istituire immediatamente canali umanitari e modificare l’inefficace “Regolamento di Dublino”.
Un’ umanità persa da un’Italia in cui, secondo il rapporto Hotspot di Amnesty (https://www.amnesty.it/rapporto-hotspot-italia/), si attuano forme di violenza e detenzione illegale a danno di uomini, donne e bambini; non è un caso che il nostro Paese sia stato condannato, proprio ieri, per l’ennesima volta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per “detenzione arbitraria” di migranti (http://hudoc.echr.coe.int/eng-press#{“itemid”:[“003-5579738-7042078”]} ).
Un’umanità persa dalle istituzioni della Capitale che sembrano non voler trovare una soluzione strutturale per dare un’accoglienza degna ai migranti che si trovano in questa città.
Proprio partendo dal filo rosso dell’umanità e dei diritti, i volontari e le volontarie del Baobab Experience, insieme a tantissime organizzazioni sociali ed umanitarie, hanno deciso di lanciare una manifestazione a Roma il 17 dicembre.
Una manifestazione che intende ribadire un concetto tanto semplice quanto disatteso: “proteggiamo le persone, non i confini” ossia proteggiamo la vita umana, la dignità, i diritti, pretendendo che essi ritornino al centro di politiche inclusive sul piano europeo, nazionale, locale.
Il problema dei diritti violati dei migranti, infatti, parte dal livello sovranazionale ma vede le proprie conseguenze esplicarsi anche sul piano locale. Roma ne è sicuramente un esempio poco lusinghiero.
Qui non si riesce a dare una accoglienza degna ai migranti che arrivano sul territorio ed in questi mesi ne abbiamo avuto l’ennesima conferma.
L’assistenza ai migranti in questa città è, infatti, lasciata tutta sulle spalle delle organizzazioni umanitarie e sociali. Sono loro che, sopperendo a delle ingiuste mancanze istituzionali, cercano di dare un’accoglienza alle persone che arrivano nella Capitale. Sono loro che, molto spesso, ricevono dalle istituzioni di questa città come unica risposta quella repressiva: con i continui sgomberi dei centri creati per dare assistenza.
È quello che è accaduto ai campi informali organizzati dai volontari del Baobab Experience e dai medici di Medu che sono stati sgomberati per ben dieci volte in meno di due mesi.
Tutto ciò all’interno di un quadro in cui il diritto di asilo in questa metropoli subisce sistematiche violazioni.
Infatti, bisogna ricordare come il 21 settembre di quest’anno per più di un mese la questura di Roma abbia sospeso le richieste di protezione internazionale, condannando centinaia di migranti all’irregolarità e alla strada. Inoltre, secondo quanto denunciato dalla rete di supporto legale ai migranti del Baobab, ancora oggi le pratiche per poter richiedere l’asilo e la relocation procedono a rilento, con soli 10 appuntamenti concessi al giorno. “È gravissimo – evidenzia la rete legale- che le persone, per poter avere una chance di manifestare un diritto loro riconosciuto, debbano aspettare settimane e siano costrette a dormire all’addiaccio”.
Il Campidoglio, dopo numerosi tavoli con le associazioni sociali, lo scorso 1 dicembre ha deciso di far rientrare i migranti transitanti nel cosiddetto “piano freddo”. Una misura che, pur avendo consentito di togliere dalla strada settanta persone, si è presto rivelata insufficiente. Gli arrivi, infatti, non si arrestano e decine sono i migranti costretti in questi giorni a dormire sui marciapiedi nel lato est della Stazione Tiburtina.
La manifestazione del 17 dicembre parte proprio dalla constatazione di questa triste realtà e dalla necessità di dover trovare soluzioni sistematiche al problema strutturale delle migrazioni, con la consapevolezza di non poter accettare delle risposte parziali ed incapaci di tutelare realmente i diritti di centinaia di persone.
Ciò che si rivendica è un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni europee, nazionale ed in particolari locali.
Assumersi la responsabilità delle continue violazioni dei diritti umani che si verificano nei nostri territori; predisporre delle soluzioni adeguate per porre fine a questi abusi.
Sul piano cittadino ciò si esplica con la necessità dell’immediata apertura di un centro di prima accoglienza, in grado di dare reale supporto legale e medico ai migranti presenti nella Capitale, nonché di un monitoraggio dell’ufficio immigrazione della questura, affinché non si verifichino più le continue violazioni del diritto d’asilo.
Inoltre, le diverse realtà promotrici della manifestazione richiedono un tavolo permanente di confronto con le istituzioni, “al fine di sviluppare un sistema in grado di garantire e promuovere i diritti fondamentali dei migranti”.
Il 17 dicembre è una prima tappa di un percorso lungo e difficile con l’obiettivo ambizioso di riportare al centro delle priorità politiche i diritti e l’umanità.
In un momento storico in cui la cultura dei diritti sembra attraversare un nuovo medioevo, rivendicare la necessità di tutelare la vita e la dignità degli esseri umani è un atto importantissimo e fondamentale.
È un’occasione, insomma, che non possiamo proprio permetterci di perdere.
Federica Borlizzi